onde gravitazionali spiegate in modo semplice
C’era una volta, circa 1 miliardo e 300 milioni di anni fa, la Terra. Si trovava in quello che gli scienziati oggi chiamano periodo mesoproterozoico. Silenziosamente la vita si evolveva e questo è il momento dei cianobatteri e delle prime riproduzioni sessuali
fra organismi unicellulari prima, pluricellulari poi.
Nessuno, su questa Terra così giovane, può accorgersi di ciò che sta accadendo nel cosmo profondo.
Due buchi neri, dopo una lunga danza uno attorno all’altro, stanno esaurendo la loro energia, non
possono più stare lontani e si avvicinano uno all’altro sempre di più, sempre di più fino, sempre più
vicini fino a quando, separati da poche centinaia di chilometri, iniziano a girare ad una velocità
prossima a quella della luce (300.000 km/s circa). E’ questo il momento: le loro masse veloci disturbano lo spaziotempo proprio come l’acqua che bolle mette in agitazione
la superficie di una pentola d’acqua.
In una frazione di secondo, i buchi neri fondenti emettono tantissima energia, un’energia centinaia di
volte più intensa di quella emessa da tutte le stelle dell’universo. Eccolo, nessuno lo vede ma si è
formato un nuovo buco nero, 62 volte più pesante del nostro Sole. E lo spazio-tempo che lo accoglie, è tornato tranquillo. Ma c’è ancora traccia di quel fenomenale evento: ieri 11 febbraio 2016 la
collaborazione LIGO (Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory, nome dell’esperimento) ha confermato che quella catturata il 12 settembre 2015 è proprio un’onda gravitazionale, dovuta alla
nascita di buchi neri avvenuta 1,3 miliardi di anni fa.
Chi le ha “scoperte”? Albert Einstein nel 1916 aveva previsto l’esistenza delle onde gravitazionali
nell’ambito della sua Teoria Generale della Relatività. Gli oggetti che hanno una massa deformano lo spaziotempo, proprio come un ippopotamo seduto su un letto deforma un materasso. Avrei potuto dire anche un gatto, ma la deformazione sarebbe stata poco visibile...
Ok, ma allora che cos’è lo spaziotempo? Lo spaziotempo è un’entità fisico-matematica, invisibile ai
nostri occhi ma è l’”ambiente” in cui siamo immersi. Guardate l’angolo della stanza in cui siete: le tre linee perpendicolari fra loro esprimono le 3 dimensioni spaziali. Poi esiste la quarta dimensione. Vederla non è possibile, neanche toccarla o assaggiarla: però si può misurare ed è il tempo. Prima del Big Bang non esisteva nulla, non solo le stelle e tutto il resto ma neanche lo spaziotempo. E oggi che l’Universo si sta espandendo, lo spazio-tempo si estende con lui.
Ora torniamo all’ippopotamo sul letto. Prendiamo una pallina e facciamola rotolare come si fa a
bowling, partendo da un angolo dal letto. Cosa succede alla pallina? Rotola verso l’ippopotamo perché intorno a lui il materasso si piega. Allora immaginiamo che al posto dell’ippopotamo ci sia il Sole. E che il materasso diventi invisibile ai nostri occhi. E lanciamo ancora la pallina. Che cosa vedremmo? La pallina che “cade” verso il Sole. Ecco, la gravità è questo: è una curvatura dello spaziotempo e non una forza! Per capire meglio, se lo spaziotempo fosse bidimensionale, potremmo immaginarlo come un tessuto elastico su cui appoggiano le cose: il Sole, la Luna, le stelle, tutto! La massa degli oggetti “deforma” il tessuto dello spazio tempo, proprio come l’ippopotamo deforma il materasso. E un buco nero, che è pesantissimo, si ipotizza che possa lacerare il tessuto dello spaziotempo, formando dei "tunnel" spaziotemporali attraverso i quali "viaggiare" da un punto all'altro dell'Universo.
E le onde gravitazionali allora cosa sono? Sono le vibrazioni del “tessuto” spaziotemporale dovute al
fatto che i corpi sono in moto accelerato (cioè la loro velocità aumenta o diminuisce) e questo moto non è perfettamente sferico. Quindi quando corpi con grande massa come stelle o buchi neri si muovono, provocano onde gravitazionali che sottraggono loro energia.
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Ma allora anche la Terra che gira intorno al Sole provoca onde gravitazionali? Sì e per questo motivo
perde un po’ della sua energia e quindi tende a ad avvicinarsi sempre di più al Sole (ogni giorno si
avvicina di 0,0000000000000001 metri) ma stiamo tranquilli: non cadremo sul Sole perché ci vorrebbe un tempo pari a 10.000.000.000.000 volte la vita dell’Universo (che ha circa 15 miliardi di anni) e prima che questa “perdita” possa far cadere la Terra sul sole come una mela matura, il nostro pianeta sarà prima inghiottita dal Sole, che si gonfierà come un soufflè e si trasformerà poi in una nana bianca (non c’è scampo terrestri!).
Gli scienziati che hanno studiato e catturato le onde gravitazionali sono stati in grado di dedurre dalle
stesse la massa dei buchi neri che le hanno prodotte, la velocità orbitale e il preciso momento in cui le superficie si sono toccate. La Teoria della Relatività Generale ha vinto un’altra volta: le coppie di buchi neri esistono e quando i due partner si fondono, il nuovo buco nero tende a una forma sferica.
L’ esistenza delle onde gravitazionali è fondamentale perché mette un limite alla velocità con cui i corpi interagiscono (o si scambiano informazioni) fra loro. Per esempio il Sole emette raggi luminosi ma questa luce visibile impiega un po’ per arrivare fino a noi (8 minuti), quindi non è istantanea. In altre parole, se il Sole per assurdo si spegnesse come fa una lampadina al click di un interruttore,
vedremmo ancora per 8 minuti la sua immagine. Una curiosità: le onde gravitazionali non esistono nella teoria della gravitazione di Newton, dove le interazioni fra corpi sono a velocità infinita.
L’intuizione di Einstein
Giornali e social network traboccano di articoli sulla rilevazione delle onde gravitazionali, fatto davvero decisivo per la fisica, per la scienza in generale, e pure per l’immagine dell’universo in cui ci troviamo a vivere. Non si insisterà mai abbastanza sul valore fondante e cognitivo della scienza, a dispetto delle tendenze anti-scientifiche che oggi prevalgono in molti ambienti filosofici.
Dunque è vero, come recita la teoria della relatività generale formulata da Albert Einstein nell’ormai
lontano 1915, che la gravità altro non è che una manifestazione della curvatura dello spaziotempo. Il
quale, a sua volta, è una sorta di lenzuolo a quattro dimensioni dove il tempo, per l’appunto, è la quarta.Non solo. I celebri buchi neri, spesso al centro di libri e film di fantascienza, stanno diventando sempre più “reali” visto che, ormai, si riesce a osservarne il comportamento in un passato lontanissimo. Miracoli – si potrebbe dire – dell’ingegno e dell’immaginazione umani, che riescono a trascendere i meri dati empirici proiettandoci in dimensioni prima sconosciute dell’universo.
Hanno quindi ragione Einstein e altri scienziati – per esempio l’italiano Carlo Rovelli – che ci invitano a riflettere su una frase pregna di significato: “La realtà non è come ci appare”. L’avevano già capito tanti filosofi a partire dall’antichità per arrivare ai giorni nostri, insistendo sulla dicotomia “apparenza-realtà”.
Si può notare che, in quel caso, si tratta di mere argomentazioni astratte, basate sulla speculazione
pura e senza il sostegno di riscontri empirici. Democrito era giunto a ipotizzare l’esistenza degli atomi senza che il mondo circostante gli fornisse il benché minimo riscontro, e solo a distanza di tanti secoli si appurò che il suo ragionamento non era affatto campato in aria.
Sarebbe tuttavia errato pensare che la scienza percorra un cammino del tutto diverso, come hanno
sostenuto – e tuttora sostengono – positivisti e neopositivisti. A loro avviso il progresso scientifico è
dovuto a una costante accumulazione di dati in cui il metodo induttivo gioca un ruolo chiave.
La storia della scienza degli ultimi secoli dimostra proprio il contrario, giacché le scoperte e i risultati più sensazionali sono stati ottenuti grazie alla deduzione non basata su dati disponibili e, soprattutto, in virtù di creatività, intuizione e fantasia.
E qui è necessario rammentare anche un classico come “La struttura delle rivoluzioni scientifiche” di
Thomas Kuhn. Lo storico e filosofo della scienza americano tracciò una distinzione tra scienza
“normale” e “straordinaria”. Scoperte decisive avvengono quando la comunità scientifica comincia ad abbandonare un vecchio “paradigma” per adottarne uno nuovo e, a quel punto, cambia la nostra
visione del mondo. E a volte cambia in maniera così radicale da indurci a ritenere che la visione nuova sia addirittura “incommensurabile” rispetto alla precedente.
Relatività e meccanica quantistica rappresentano i due casi più emblematici di paradigmi nuovi nella
nostra epoca. E, ovviamente, la storia non è affatto finita, poiché è ipotizzabile che altri paradigmi si
faranno strada nel prossimo futuro.
Ciò che davvero conta, tuttavia, è capire che Einstein usò intuizione, creatività e fantasia, doti di cui
solo gli scienziati di genio – o “straordinari”, come direbbe Kuhn – sono dotati. La pratica scientifica è rigorosamente selettiva e per niente egualitaria. Il fisico geniale è colui che riesce a trascendere i dati quotidiani intuendo, come prima si diceva, che la realtà non è come ci appare.
Proprio per questo Einstein non credeva affatto a un metodo scientifico standard, valido per tutti, e
basato sul processo automatico input-output. Fosse davvero così, ognuno potrebbe diventare un
grande scienziato.
E invece è il contrario. Per esserlo occorre avere doti non comuni e proiettarsi con l’intuizione al di là dell’apparenza. E non tutti ne sono capaci: anzi pochissimi. A riprova del fatto che, nella scienza come altrove, la genialità individuale non è mai riducibile a criteri massificanti.
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