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giovedì 14 dicembre 2017

Astronauta Nespoli rientra sulla Terra



Atterrato in Kazakistan dopo il viaggio sulla navicella Soyuz:
 il suo fisico invecchiato e indebolito al ritorno dallo spazio.
 Anche sei mesi per tornare alla completa normalità

Il ritorno dallo spazio dopo una lunga permanenza sulla stazione Iss rappresenta una sfida per l’organismo. Ogni astronauta, però, reagisce in maniera molto personale. Paolo Nespoli in questo ritorno dal terzo viaggio appare più in forma rispetto all’ultimo rientro ma i due compagni di viaggio appaiono meno colpiti dal forzato ritorno alla gravità terrestre. Per tutti, comunque, c’è una condizione di crisi fisica dalla quale devono riprendersi e che richiede alcuni mesi: anche qui la risposta può essere diversa a seconda del soggetto. Nel primo periodo viene ritirata anche la patente; cioè non possono guidare l’automobile.

Stare nello spazio diversi mesi significa accelerare l’invecchiamento. I cambiamenti incominciano dalla perdita di calcio nelle ossa (osteoporosi) che diventano deboli e fragili. E’ per questo che quando escono dalla Soyuz gli assistenti adagiano con delicatezza gli astronauti sulle poltrone, proprio per non sollecitare in maniera rischiosa le ossa degli arti. La ripresa completa richiede alcuni mesi. Il sistema vestibolare, poi, che si era regolato senza la gravità provocando nei primi giorni in orbita pure qualche fastidio, il mal di spazio, di nuovo ha bisogno di qualche settimana per garantire il ritorno permanente al perfetto equilibrio. Tra l’altro i recettori della pianta dei piedi non riconoscono più le condizioni del passato e inviano segnali errati al cervello che traggono in inganno nella deambulazione.

Altrettanto gli occhi devono riconquistare la normalità: il 60 per cento degli astronauti in orbita ha problemi alla vista a causa di uno stress ossidativo dei bulbi oculari. Altrettanto il sistema cardiocircolatorio ha bisogno di riprendere le precedenti condizioni: in orbita il sangue fluisce facilmente alla testa a causa dell’assenza di gravità e per questo i volti degli astronauti appaiono gonfi e più rosei. Tornati a terra il cuore, che lassù faceva meno fatica a pompare, deve di nuovo forzare il flusso proprio per vincere la gravità e anche questo richiede un po’ di tempo. Tra l’altro il cuore proprio perché fa meno fatica riduce la sua massa in alcuni casi anche di un terzo ma poi deve riprendere le sue condizioni e dimensioni iniziali. Come il muscolo del cuore anche gli altri muscoli del corpo si indeboliscono ed è necessario per i primi mesi una intensa riabilitazione. Non basta che in orbita gli astronauti facciano circa due ore al giorno di ginnastica. Insomma tutto il corpo viene alterato nelle lunghe permanenze di 5-6 mesi che ora sono la norma, in maniera profonda. A cominciare dal sistema di difesa immunitario che si abbassa nelle sue capacità rendendo gli astronauti più vulnerabili alle malattie e anche questo aspetto fondamentale richiede un riassetto totale. Insomma in media sono necessari cinque-sei mesi a seconda del soggetto per stabilire il ritorno completo alla normalità e pensare, magari, alla successiva missione.




Astronauti in orbita: dal «mal di mare» alla depressione, cosa succede al loro corpo
Come stanno e che cosa succede agli astronauti che ormai vivono lunghi periodi (sei mesi) sulla stazione spaziale internazionale ISS. Per il fisico e la mente è una «vita d’inferno» durante il soggiorno nella casa cosmica, nonostante gli astronauti nei collegamenti tv appaiano sorridenti e fluttuanti senza peso. Unica anomalia percepita e visibile è il gonfiore del loro viso. Ma i problemi che devono affrontare sono diversi. Quando ritornano sulla Terra tutto sembra rientrare nella normalità; però ci sono aspetti di cui non si conoscono gli effetti sul lungo periodo. 



Ecco i problemi principali.

Si inizia con nausea e «mal di mare»
Quando si arriva in orbita, la prima sgradevole sorpresa per quasi la metà degli astronauti è una nausea simile a quella del mal di mare sulla Terra. Il sistema vestibolare viene sconvolto dall’assenza di gravità e occorre un po’ di tempo (dipende dal soggetto) per adattarsi e vederlo scomparire. Il malessere viene scherzosamente classificato con la “scala Garn” dal nome del senatore Jake Garn dello Utah che volò sullo shuttle nel 1985, 
diventando il caso più grave mai registrato per questo disturbo.

Il cuore si arrotonda e rimpicciolisce
Il cuore è un muscolo e, come tutti gli altri muscoli del corpo, risente in maniera significativa della permanenza nello spazio. La ragione è che, in assenza di gravità, i muscoli fanno meno fatica e per il cuore è più facile pompare il sangue in ogni direzione del corpo. La circolazione viene alterata e per questo affluiscono più sangue e liquidi nella testa; ragione per la quale il volto degli astronauti appare più gonfio. Ma la situazione produce anche altre alterazioni. Il cuore assume una forma più sferica e riduce il suo volume talvolta fino ad un terzo. «Il cuore non lavora così duramente nello spazio e ciò può causare perdita di massa muscolare» precisa James Thomas, alla guida di un team di ricercatori-medici della Nasa. Ovviamente anche gli altri muscoli del corpo ne risentono e, per non perdere tonicità e aiutare l’intero sistema muscolare, 
gli astronauti devono fare attività fisica almeno un’ora al giorno.

Gli occhi si indeboliscono
Il 60 per cento degli astronauti presenta problemi alla vista. Per capire che cosa succede nello spazio, sono stati studiati i tessuti oculari nei topi in alcune missioni shuttle e si continuano a indagare gli occhi degli astronauti sulla ISS. In entrambi i casi si è rilevato uno “stress ossidativo dei bulbi oculari”, cioè un rapido invecchiamento dell’occhio, frutto delle azioni congiunte portate da radiazioni, ipotermia, ipossia e microgravità. Lo stress ossidativo è conseguenza dello squilibrio tra l’ossigeno reattivo generato dal metabolismo cellulare e la capacità della cellula di gestire i sottoprodotti tossici. Nello spazio si è notata una superproduzione di radicali liberi e, in condizioni di stress molto elevato, come accade in orbita, ciò può causare danni ossidativi a varie parti del corpo. Riassumendo: si invecchia più rapidamente. Nei topi, inoltre, si sono scoperti danni nel nervo ottico con alterazioni nella “proteina fibrillare acida della glia” (Gfap).

Lo scheletro perde calcio
Anche lo scheletro subisce danni. La colonna vertebrale, in assenza di gravità, si allunga di qualche centimetro (la variazione dipende dalla persona), ma il guaio più consistente riguarda la perdita di calcio (osteoporosi), che invece di depositarsi nelle ossa viene eliminato nell’apparato urinario. Aumenta quindi la probabilità di calcoli renali, oltre al rischio che si indeboliscano le ossa, per cui, dopo il rientro sulla Terra, i rischi sono elevati. Su questo aspetto le ricerche sono molto intense perché, se si riesce a trovare risposta per gli astronauti, questa sarà preziosa anche sulla Terra in quanto l’osteoporosi è una caratteristica della vecchiaia.

Nascono difficoltà respiratorie
Varie altre situazioni diventano critiche. Si manifestano, per esempio, complicazioni nelle vie aeree per l’accumulo dei liquidi nella parte alta del corpo, con congestioni e difficoltà respiratorie. Inoltre si è notata una riduzione nell’ossigenazione degli organi periferici del corpo, mentre è stata confermato un abbassamento delle difese immunitarie. Questo espone più facilmente alle malattie e l’organismo diventa più sensibile agli effetti dei microbi, mentre è stata misurata una riduzione di efficacia degli antibiotici. Tra l’altro la lunga permanenza degli equipaggi genera la proliferazione di batteri e funghi che si depositano nelle strutture. Sulla stazione russa Mir venne censita la presenza di 234 specie di batteri e funghi.

Il rischio delle radiazioni
Le radiazioni: argomento studiato con molta attenzione nella prospettiva di un viaggio verso Marte nel quale, per circa sei mesi, si esce dalle fasce di van Allen che proteggono e schermano la Terra dai fiumi di radiazioni che piovono dal cosmo. Sulla stazione ISS, a soli 400 chilometri d’altezza, il rischio è ancora contenuto ma presente e per questo attentamente valutato, perché l’accumulo di radiazioni può generare danni cellulari come tumori. Tra l’altro, gli astronauti percepiscono dei lampi (studiati con un particolare casco sulla stazione), che si ritengono generati dall’interazione di alcuni raggi cosmici con i tessuti cerebrali. Secondo una valutazione della Nasa, per mantenere il rischio al di sotto del 3 per cento, un uomo dovrebbe rimanere nello spazio al massimo 268 giorni e una donna 159. Ma si tratta di valutazioni ancora parziali.

La mente: depressione in agguato
C’è infine la psiche da considerare, e qui si entra nel territorio di indagini più arduo. Già alcuni test a terra, come l’esperimento di segregazione “Mars 500” condotto in un laboratorio a Mosca con sei volontari europei, russi e cinesi simulando una missione marziana (hanno partecipato attraverso l’Asi anche specialisti delle università italiane), si è notata la generazione, proprio a causa dell’isolamento, di uno stato depressivo che potrebbe diventare pericoloso e mettere a rischio una missione. Oltre a ciò, gli psicologi hanno riscontrato anche sulla stazione ISS l’insorgere di alcune paure, cambi di umore e una tendenza a sentirsi più affaticati. Simili aspetti sono oggi in primo piano, pensando alla futura spedizione umana su Marte che richiede, prima di tutto, una stabilità psicologica.

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SAMANTHA CRISTOFORETTI



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