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sabato 16 aprile 2011

MALATTIE INVENTATE





 
Vendere medicine a tutti, non solo ai malati, era l'obiettivo dichiarato, già trent'anni fa, da Henry Gadsden, capo di una delle più note industrie farmaceutiche.   Nuove sindromi definite a tavolino. Fattori di rischio trasformati in patologie. Alti e... bassi della vita considerati gravi disturbi. Ecco come l'industria farmaceutica ci trasforma tutti in pazienti. Per vendere sempre più farmaci.   C'è una storia interessante raccontata in uno degli ultimi numeri del Bollettino d'informazione sui farmaci, austera pubblicazione del ministero della Salute. Eccola: dalla fine degli anni 80 hanno iniziato a riunirsi periodicamente a Roma alcuni gruppi di specialisti dell'intestino, con il compito di discutere tutte le malattie cui questo organo può andare incontro. Finora ne hanno descritte minuziosamente 21, tra cui la stipsi cronica, che colpisce chi non va di corpo «spontaneamente» almeno tre volte la settimana da oltre sei mesi. 

  Lo zelo classificatorio degli esperti è ben applicato, ironizza l'editoriale sul Bollettino, dato che uno studio clinico «randomizzato e controllato a doppio cieco con placebo ha appurato che il tegaserod (farmaco già in commercio in Usa, in attesa di approvazione in Italia, ndr) produce un'evacuazione spontanea in più ogni due settimane, al costo di circa 100 dollari per "evento" aggiuntivo».   Moltiplicando il numero degli eventi aggiuntivi per quello degli interessati alla questione («Almeno 4 milioni di italiani» informa uno degli ultimi comunicati stampa giunti in redazione), si comprende la generosità con cui varie industrie farmaceutiche hanno sovvenzionato per anni le riunioni di Roma e le associazioni di pazienti che si sono costituite per richiamare l'attenzione sui disturbi intestinali.   Ci sarebbe quasi da sorridere se l'argomento non fosse dei più seri, perché il caso della stipsi cronica, o la sindrome del colon irritabile, l'altra faccia della medaglia, sono due esempi fra tanti di come l'industria della salute, per assicurarsi una continua crescita del mercato, stia trasformando normali alti e bassi della vita quotidiana, disturbi lievi e comuni, in malattie potenzialmente serie per cui è necessario assumere farmaci. Un fenomeno su cui medici, ricercatori e giornalisti specializzati cominciano a mettere in guardia. Uscirà ad aprile Gli inventori delle malattie (Lindau) del giornalista medico Jörg Blech, che segue di pochi mesi Farmaci che ammalano (Nuovi Mondi Media) di Ray Moynihan e Alan Cassels.   A rifletterci con senso critico, certe notizie puzzano. Osteoporosi: secondo stime che escono sui giornali, sarebbe a rischio quasi metà delle persone dai 65 anni. Colesterolo: i dati usciti poche settimane fa indicavano che un italiano su due viaggia oltre le soglie di rischio. E la depressione? Sembra che colpisca 330 milioni di persone e che il 90 per cento sia curato inadeguatamente. Siamo davvero tutti malati? C'è qualcosa che non torna. Anche perché, come ha osservato candidamente l'amministratore di un'industria farmaceutica, «se sommiamo tutte le statistiche, ognuno di noi dovrebbe avere all'incirca 20 malattie».   Quella di considerare tutti malati, come sognava il dottor Knock nel Trionfo della medicina, è un processo che ha una causa semplice. Come scrive brutalmente Blech, «per poter mantenere inalterata l'enorme crescita avuta negli anni passati, l'industria della salute deve prescrivere sempre più spesso farmaci a persone che sono sane».   Già trent'anni fa, raccontano Moynihan e Cassels, il direttore della Merck Henry Gadsden, vicino alla pensione, si crucciava di poter vendere soltanto ai malati e sognava un mercato potenziale in cui «tutti» fossero clienti della sua industria.   I meccanismi con cui ciò sta davvero avvenendo, e il grado cui si è spinta l'impresa, sono però sbalorditivi. «Dagli studi clinici sui farmaci alle riviste scientifiche, fino ai congressi medici, alle campagne di sensibilizzazione sulle malattie e alla pubblicità diretta o indiretta, è colonizzata l'intera medicina» sostiene Nicola Magrini, direttore del Ceveas, il Centro per la valutazione dell'efficacia dell'assistenza sanitaria.   Le strategie di marketing dell'industria farmaceutica sono efficienti e gli espedienti per creare nuove malattie consolidati. Lo racconta con dovizia di particolari Moynihan che dedica ogni capitolo del suo libro a un caso, dal colesterolo all'ipertensione, dalla depressione alla disfunzione sessuale femminile.  

 UN MALE PER OGNI PILLOLA Nelle strategie del marketing, prima del farmaco viene promossa la malattia   

OSTEOPOROSI, UN BUSINESS La densità ossea, misurabile con la mineralometria, è solo uno dei fattori, neppure il più importante, della probabilità di una frattura. Nonostante ciò, grazie anche a una campagna massiccia di marketing e pubbliche relazioni cominciata oltre dieci anni fa, i test per la densità ossea si sono moltiplicati esponenzialmente e l'osteoporosi da fattore di rischio è stata trasformata in «malattia certificabile». I farmaci per trattarla sono tra i più prescritti.  

 MASCHI AL CREPUSCOLO Anche gli uomini, al pari delle donne, avrebbero la loro menopausa, dovuta a un lento calo degli ormoni maschili. Conseguenze: una sorta di crepuscolo della virilità e sintomi come calo del desiderio, erezioni meno forti, minori capacità sportive, depressione, perdita di peso, sonnolenza, riduzione della capacità lavorativa. Secondo varie campagne di sensibilizzazione, l'andropausa è un problema sottovalutato che andrebbe invece affrontato, anche con farmaci.  

 MALATI DI TIMIDEZZA Una volta si chiamava timidezza, ora si chiama «disturbo d'ansia sociale». Consiste in «un senso generale di disagio quando si è in mezzo ad altre persone che può limitare la propria capacità di interagire». Una campagna di pubbliche relazioni ben orchestrata, che in Italia è stata meno ossessiva rispetto ad altri paesi, ha cominciato a sensibilizzare su questa condizione, che sarebbe sottodiagnosticata e sottocurata, per spingere un farmaco.  

 SIAMO TUTTI DEPRESSI «Hai provato sentimenti di tristezza, perdita di interesse, difficoltà a dormire, o difficoltà a concentrarti? Questi e altri sintomi, se sperimentati quasi ogni giorno per almeno due settimane, potrebbero indicare che soffri di depressione» dice il sito internet di un antidepressivo. In vari paesi le vendite di questi farmaci sono triplicate negli anni 90 anche se, secondo gli studi, i benefici sono più modesti di quanto faccia intendere la promozione, e l'efficacia limitata ai casi gravi.   

COLESTEROLO, CHE MANIA Dalla metà degli anni 90 quattro diverse edizioni di linee guida hanno abbassato sempre più il livello di colesterolo definibile normale. Lo stesso è accaduto con l'ipertensione e la glicemia, tanto che la fascia di popolazione per cui si ritiene necessario un intervento farmacologico è sempre più ampia. Si tratta di fattori di rischio controllabili spesso con semplici cambiamenti nello stile di vita, che si sono trasformati in malattie vere e proprie.      Per mezzo di studi discutibili dal punto di vista epidemiologico, si fanno apparire alcuni problemi assai più gravi di quanto non siano. Anni fa si è cominciato a ripetere che un terzo della popolazione soffrirebbe di malattie mentali, ansia, depressione... Come nascono queste cifre? In vari paesi si svolgono indagini, in genere commissionate e sponsorizzate dall'industria, in cui test tipo: «Ti sei sentito triste e apatico per più di due settimane nell'ultimo anno?» vengono usati come criteri diagnostici. La risposta positiva comporta l'iscrizione d'ufficio nel registro dei depressi, che alla fine risultano un esercito.  

 Ma i trucchi possono essere altri. Si trasforma un semplice fattore di rischio, come una diminuita densità delle ossa, in malattia vera e propria, l'osteoporosi. O si abbassano sempre più le soglie di normalità di certi parametri, colesterolo, ipertensione, glicemia, e automaticamente i potenziali malati raddoppiano o triplicano.   Nessuno di questi dati è inventato. Dietro le definizioni ci sono gruppi di esperti che stilano linee guida di trattamento e criteri diagnostici. Numeri e cifre sono stati in molti casi pubblicati sulle più importanti riviste mediche. E proprio questo è il segno di quanto vasto sia il condizionamento. Alla base di tutto c'è la contiguità, inopportuna ma ormai inevitabile, tra medici e industria. «Secondo vari studi, il 90 per cento dei ricercatori che elabora linee guida ha conflitti di interesse» valuta Giovanni Fava, docente di psicologia clinica all'Università di Bologna. Otto dei nove esperti che hanno redatto le ultime direttive sul colesterolo, informano Moynihan e Cassels, lavorano anche come relatori, consulenti o ricercatori per le maggiori multinazionali del farmaco.   Sono corrotti? «Spesso svolgono il loro lavoro ritenendosi indipendenti. Alcuni lo sono. Altri credono di esserlo ma non si rendono conto che nella scelta delle informazioni che forniscono, nell'enfasi su un aspetto piuttosto che su un altro, senza dire cose false le presentano in una luce poco scientifica, parziale, a volte tendenziosa, trasformandosi inconsapevolmente in fonti pubblicitarie» risponde Marco Bobbio, cardiologo alle Molinette di Torino, tra i primi a sollevare il tema del conflitto di interessi in medicina.   C'è chi invoca l'argomento che, prendendo soldi da molte industrie e non da una sola, un esperto si trova al di sopra delle parti. Però è un fatto che gli studi clinici sponsorizzati da un'azienda hanno una probabilità quintupla di dare risultati favorevoli all'industria di quelli finanziati da altre fonti.   «C'è una forte evidenza» ha scritto su Plos Medicine Richard Smith, ex direttore del British Medical Journal «che le aziende ottengano i risultati che vogliono». E i canali per farlo sono tanti. «Nei congressi scientifici» spiega Bobbio «le industrie organizzano simposi di cui scelgono tema e oratori, a pagamento. I medici assistono e pensano di trovarsi di fronte a informazioni scientifiche, avvalorate da esperti. In realtà sono informazioni condizionate da interessi commerciali. Basterebbe dirlo apertamente».   
Perfino le associazioni per la tutela dei pazienti si reggono per la maggior parte sui finanziamenti di case farmaceutiche, visto che tenere alta l'attenzione sulle malattie è uno dei modi più efficaci per vendere farmaci. I media sono parte integrante del meccanismo. Agenzie di pubbliche relazioni confezionano per giornali e tv documenti in cui si mostra l'importanza della patologia, condita dai dati su quante persone ne sono affette e sul fatto che la maggior parte non riceve cure adeguate, più il commento di autorevoli esperti.   Ogni tanto, la rivelazione di qualche documento riservato porta alla luce scenari inquietanti. Il British Medical Journal, riporta Blech nel libro, ha pubblicato alcuni anni fa il piano strategico dell'agenzia di pubbliche relazioni In Vivo communications. Stando al piano, un programma di educazione sanitaria di tre anni, con interviste a famosi opinion maker, avrebbe dovuto presentare i disturbi intestinali come «una vera e propia malattia, credibile e frequente».   Una nota agenzia internazionale di pubbliche relazioni con uffici anche a Milano dichiara nel suo sito internet che, in tema di promozione dei farmaci, il successo dei suoi sforzi comunicativi è nel lavoro svolto per «coltivare il mercato» ancora prima che il medicinale vi arrivi. E il mercato si coltiva convincendo le donne che la menopausa non è una fase naturale della vita, ma una malattia da perdita di estrogeni; o che se si prova «un senso generale di disagio quando si è in mezzo ad altri», si può soffrire di disturbo d'ansia sociale; o che 40 donne su 100 sono affette da «disfunzione sessuale».  

 Queste strategie di marketing fanno impressione solo perché in campo c'è la salute. «Per il resto» testimonia Franco Bellé, ex informatore scientifico che ha scritto La mala ricetta (Frilli editori) dopo aver lasciato il lavoro di rappresentante «il farmaco è come una merendina. Gli vengono applicati gli stessi metodi di marketing usati per i beni di largo consumo».   In fondo, trent'anni fa il filosofo «eretico» Ivan Ilich parlava già in Nemesi medica della «paradossale nocività di un sistema medico che non conosce limiti» e descriveva una società-clinica di cittadini-pazienti. Molte malattie sono purtroppo reali, dolorose, mortali. E la ricerca ha prodotto rimedi efficaci contro alcune di esse. Tuttavia, sostiene Moynihan, spesso i problemi di salute di una persona sono talmente lievi o passeggeri che non fare niente è la cosa migliore. 

Ippocrate, quasi 2.500 anni fa, aveva consigliato:

 «Per il malato il meno è meglio».

 Figuriamoci per il sano.

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